Tracce luminose, di Alessandra Santin

TRACCE LUMINOSE 

Le opere fotografiche di Stefano Tubaro creano mondi che poco hanno a che fare con la realtà data. Perché? Perché questa intenzionalità creativa e costruttiva di un luogo che di per sé non esiste?
Dal punto di vista concettuale intervenire sull’ambiente esterno, modificandolo, rappresenta una delle azioni più esemplificative delle motivazioni che sottostanno alla creazione dell’opera d’arte contemporanea, che propone sempre un cambiamento, un’apertura, un’innovazione. 

L’artista esprime la consapevolezza del limite della propria esperienza “reale”, che è
la condizione necessaria secondo Heidegger, per il “divenire umani”, punto di partenza di un’esistenza autentica.
Stefano Tubaro inizialmente avverte l’esigenza di apportare cambiamenti nella realtà circostante, e in seguito di creare altri luoghi, nuove stanze che ignorano i limiti degli spazi quotidiani per esprimere pienamente il suo bisogno d’armonia, il desiderio di “rinascere” in forme e rapporti nuovi. L’artista crea opere come visioni personali che rispecchiano la sua interiorità vitale ed esigente. In ogni scatto fotografico, sempre meditato, la propria esperienza esistenziale acquisisce un senso nuovo, fenomenologicamente capace di compensare la deriva contemporanea, in cui l’ambiente appare dominato dallo sfruttamento e dall’incuria; dagli eccessi di peso, colori e rumori; e dall’abbandono. 

La mostra Tracce Luminose documenta lo sviluppo di questa ricerca, che si realizza in tre serie successive di opere: Contrattempi (iniziata alla fine degli anni Novanta, quando Stefano Tubaro operava in analogico); Contrazioni (avviata verso il 2010, in digitale)
e Stanze fotogeniche (la ricerca più recente, realizzata durante la pandemia). 

Comune denominatore del lavoro di questo venticinquennio è innanzitutto l’uso della luce, e in particolare della luce colorata sulle architetture; in seconda battuta va riconosciuta anche la presenza del silenzio, il bisogno di rendere visibile il silenzio creando atmosfere in cui il tempo appare rallentato o sospeso, anche se mai del tutto immobile. 

I Contrattempi accolgono punti di vista rivolti verso il mondo esterno, si tratta spesso di inquadrature di edifici e strade cittadine in cui dominano i rapporti geometrici che colgono sintetiche relazioni spaziali, essenziali pur nella loro complessità.
Nel qui e ora della strada Stefano Tubaro va oltre il limite dell’oggettività del presente. Egli porta il suo sguardo fuori dallo spazio e dal tempo abituali, per immergersi in assonanze e dissonanze solo apparentemente conosciute. I muri intonacati, le pietre angolari, gli edifici industriali spesso inutilizzati vivono in una luce nuova di un tempo diverso, mai saturo e mai cupo. Vivono un tempo vergine, percorso a volte da cromatismi innaturali. 

La luce è filtrata e si determina senza bisogno di fare corpo. Vi è ovunque un’emergenza d’essere, una pulsazione storica del divenire.
Le linee scandiscono il ritmo puro dei chiaroscuri.
Le opere fotografiche della serie Contrazioni esplorano invece gli interni, si spostano in ambienti domestici spesso rurali o in locali industriali spogli e labirintici. 

Le porte delle diverse stanze sono sempre aperte su androni e corridoi deserti e lasciano intravedere angoli in penombra, non più abitati: ulteriori percorsi per esploratori estranei. Qua e là sopravvive qualche arredo in disuso.
Questo mondo ridisegnato da Stefano Tubaro con fasci di luce dai colori vivi e artificiali, inediti, accoglie simultaneamente tempi successivi, che danno effetti stranianti alle diverse scene. Raramente in esse affiorano figure fantasmatiche, autoritratti in forma di ricordi indefiniti e pulsanti. 

Il Divenire si conferma come cifra della sua poetica.
Agli scorci letti di taglio, incompleti e interrotti dei Contrattempi, ora l’artista preferisce il senso di uno spazio interiore compiuto e alternativo, parallelo, extra-ordinario, rivolto all’inconscio o alla forza trasformativa della memoria e del pensiero astratto.
Gli spazi sono desideri liberati da luci trasversali, di matrice concettuale.
Infine le Stanze fotogeniche rappresentano la summa di una ricerca pressoché inesauribile. Stefano Tubaro ignora la realtà circostante (chiusa e pandemica). Eludendo ogni sistema di riferimento naturalistico egli crea ambienti scenografici realizzati in laboratorio, dove tutto è progettato ex ante. “Vere finzioni” di luoghi architettonici mai abitati, queste stanze hanno pareti e pavimentazioni decorate da texture cinetiche, realizzate appositamente in camera oscura su carta fotosensibile.
L’artista suggerisce circuiti percettivi inesplorati, che trascendono il reale. L’assenza di elementi d’arredo impedisce la percezione in scala degli spazi che paiono immensi o di piccole dimensioni; in queste “sculture del vuoto” si oltrepassa il presente in vista di possibili scenari diversi e di tempi vitali.
Varia di molto la lettura visiva dei luoghi, influenzata dal numero delle sorgenti che illuminano le stanze e dal loro posizionamento: giocare con queste variabili permette a Stefano Tubaro di ottenere effetti poetici emotivamente coinvolgenti, a seconda dell’intento 

e dell’esposizione dei colori ora più eterei e allusivi: l’indaco, i grigi polverosi azzurrognoli, le sfumature tenui dei rosa antichi, le trasparenze degli ori e dei riverberi argentei di certi tramonti siderali. Le fonti di luce trasversale, a volte direzionate dall’alto, creano equilibri di ombre in grado di modellare gli spazi nella loro interezza. La creazione di contrasti tra le luci d’accento e quelle di atmosfera affida all’illuminazione l’istituzione di una gerarchia percettiva che valorizza singole zone, gli angoli in particolare, o i confini più lontani che si raggiungono trapassando le aperture. Attraverso sottili tagli longilinei si generano lampi luminosi, bagliori e lame cromatiche sui soffitti e le pareti che aggiungono un delicato effetto di tridimensionalità alla lettura visiva. In essa le possibilità sono molte e dipendono da cosa l’artista desidera esaltare: una finestra tonda? Il suolo sospeso ed etereo? La morbidezza dello sfondo che sconfina nel silenzio dato? 

D’altronde la luce/colore, nelle opere recenti di Stefano Tubaro, non è solo “oggetto” della percezione, ma qualcosa che non può esaurirsi nel suo fenomeno, è un concetto simbolico, rivelatore di un tempo sconnesso, interiore, per certi aspetti meditativo e spirituale. 

Si concretizza così, nell’immagine delle Stanze fotogeniche, l’evento/specchio della natura personale-intimistica della sua poetica. Ogni autentica ispirazione artistica di Stefano Tubaro, nella tensione fattuale più concreta, supera i limiti del già dato o del già presupposto e apre finalmente al non ancora. 

Alessandra Santin 


(testo di presentazione nel catalogo della mostra “Tracce luminose” Fotografie 1997 – 2022, Sala Veruda di Palazzo Costanzi, Trieste, 2023)