Opere fotografiche, di Chiara Tavella
Opere fotografiche
[…] Le immagini elaborate da Tubaro per questa mostra hanno radici nell’indagine sull’ambiente urbano iniziata qualche anno fa attraverso il bianco e nero, che approda ora al colore attraverso la recente serie, a colori, dei pali (pali di segnali stradali, di lampioni, etc.). Filo conduttore della ricerca di Tubaro quello che potremmo chiamare il tema dell’”inganno”, dell’ambiguità che caratterizza l’ambiente contemporaneo anche nei suoi aspetti apparentemente minimi, univoci, dotati di un solo ovvio significato; ambiguità che lo sguardo del fotografo può cogliere a patto di saper compiere quello scostamento, minimo ma fondamentale, dai modi consueti del vedere che diventa rivelatore. In alcuni lavori in bianco e nero, per esempio, le ombre dei passanti, le striscie pedonali, il reticolo del selciato, che di solito passano inosservati, diventano protagonisti dell’immagine, costruita puntando l’obiettivo verso il basso; nella serie dei pali questi oggetti in genere brutti e insignificanti, inquadrati a distanza ravvicinata, risultano una prepotente presenza rispetto alle case o alle persone in secondo piano.
Ora il gioco di ambiguità, affidato insieme al colore e alla luce, si fa anche più complesso. Queste fotografie raffigurano vecchi edifici in rovina, probabilmente isolati nella campagna. Probabilmente, perché poco si sa del paesaggio circostante, dal momento che la figura dell’edificio riempie quasi interamente il campo visivo. Già questo solo aspetto genera una sensazione di perplessità – il primo della rete di inganni orditi da queste immagini. In Contrattempo 3 l’edificio, una costruzione rustica diroccata, è inquadrato esattamente di fronte e occupa la metà superiore del formato quadrato: una struttura compositiva “dichiarativa”, che ha la funzione di presentare l’oggetto in modo chiaro e esaustivo. Ma – e siamo al secondo inganno – il carattere asseverativo di tale presentazione viene poi sistematicamente negato dalla luce: tre luci rosse, blu, gialle colorano l’erba e la greve superficie della costruzione in sasso, annullano i volumi e li trasfigurano riducendoli ad aloni di luce-colore – tanto che si potrebbe pensare di trovarsi di fronte a un fotomontaggio o a una manipolazione digitale dell’immagine (che non è vero: la foto non è manipolata. Quindi terzo inganno). La luce innaturale della tecnologia contemporanea violenta non solo la natura (l’erba) ma anche la materialità calda e familiare dei manufatti del recente passato. Evidentemente la luce artificiale è visibile solo di notte, e la metà inferiore dell’immagine rende questa sensazione di notturno. La metà superiore dell’immagine è invece occupata da un cielo chiaro, che parrebbe diurno ma è il risultato del lungo tempo di esposizione; dunque non è più possibile stabilire se sia giorno o notte: è il quarto, insolubile inganno, che ora riguarda non più lo spazio ma il tempo, a cui allude questa serie di lavori. All’inganno del tempo rimandiamo anche le tre sagome umane visibili negli aloni di luce: si tratta della stessa persona che si è spostata durante l’esposizione.
La fotografia, definita come il mezzo di fissare l’attimo, registra ora la durata del tempo: è l’apoteosi dell’inganno! Di quel senso dell’inganno e dell’aleatorietà del reale che, in tempi di pulcini, micini, amanti virtuali, tempi in cui è possibile rappresentare ciò che non esiste e ciò che esiste – vedi questa fotografia – è così privo di senso da non sembrare vero, non è più solo un assioma del pensiero ma una costante del sentire moderno, una sensibilità diffusa nell’ aria che respiriamo…
Chiara Tavella
(testo di presentazione nel catalogo della mostra “Opere fotografiche”, Galleria Artespazio Clocchiatti, Udine, 1998)