Contrattempo, di Vania Gransinigh
Contrattempo: per una mostra di Stefano Tubaro
Se l’immagine non ha più una corrispondenza diretta con il dato reale che è chiamata a rappresentare e il suo valore non è più oggettivo, ma intrinseco; se la visione é diventata una questione essenzialmente formale, di rapporti spazio-temporali, equilibri volumetrici e lineari allora la fotografia, essenza dell’immagine, non può che divenire una ricostruzione intellettuale, un concetto. Gli edifici deserti e fatiscenti, illuminati da violenti ed improvvisi fasci di luce colorata che popolano le immagini di Stefano Tubaro rimandano immediatamente ad altro da sè.
Scenari abbandonati di un tempo che non è più o non è mai stato si dilatano fino ad occupare il campo visivo della rappresentazione ed è soprattutto l’essenza geometrica delle masse ad imporsi e a scandire lo spazio dell’immagine fino ad annullarne ogni profondità. In tal modo la ripresa fotografica emerge tutta in superficie, sottile diaframma teso tra spazio reale e virtuale.
L’immagine, originatasi da una visione riprodotta meccanicamente, diviene una quinta asettica e razionale, la riproduzione di un’area della mente, uno schermo visivo sul quale Tubaro interviene dall’esterno proiettando fasci di luce colorata che si condensano in particolari tasselli cromatici di lineare geometrica essenzialità. Il richiamo a Mondrian, a questo punto, è d’obbligo.
L’operazione artistica di Stefano Tubaro consiste infatti nel sintetizzare l’immagine fotografica progettata e pensata prima ancora che selezionata sul reale, riducendola ad icona intellettuale e cogliendone l’essenza logica e razionale, pur evitando la schematizzazione astratta. Le fotografie di Tubaro conservano, insomma, i loro riferimenti oggettivi anche se la propria struttura interna di carattere essenzialmente lineare finisce per prevalere e la superficie della rappresentazione pare sul punto di diventare piano geometrico.
In questo spazio cartesiano costruito (e non rielaborato in sede virtuale al computer) sulle coordinate della verticalità e dell’orrizzontalità, alla figura umana è assegnato solo il valore ectoplasmatico dell’apparizione. Essa apppare e scompare quale traccia di un’esistenza che introduce nelle riprese a tempi lunghi di Tubaro una quota di imprevedibile irrazionalità. Un contrattempo, insomma, un elemento che sfugge alla logica rigorosa e coerente di uno spazio e di un tempo artificiali ed assoluti, ma la cui presenza sottrae l’uomo al determinismo meccanicistico dell’universo e apre la strada ad un’irrinunciabile esigenza di creatività, fantasia ed immaginazione, spirito vitale dell’esistenza umana.
Vania Gransinigh
(testo di presentazione della mostra “Contrattempo”, Spazio all’Arte – Università delle LiberEtà, Udine 1998)